Torno nuovamente a popolare il topic con le tre marche di acquerelli usate con minor frequenza (due delle quali particolarmente invise).
Lukas 1862, palette da 36 semi godet:
Il mio primo amore: gli acquerelli del liceo.
Non riporto i colori contenuti nella palette perché acquistati in maggioranza prima del 2005, anno nel quale il marchio ha effettuato un totale rinnovamento.
Le poche colorazioni aggiornate in mio possesso hanno mantenuto (o migliorato) la corposa intensità delle precedenti, nello specifico: Raw Sienna (a tutt’oggi una delle mie favorite in commercio), Burnt Umber, Raw Umber, Van Dyck Brown e Sepia (tutti multipigmento, ma notevoli).
Purtroppo è presente una sciagurata eccezione: la vecchia versione dell’Alizarin Maddler Lake Deep (attualmente Madder Lake deep, medesima numerazione 1066) era uno scurissimo cocciniglia connaturante “personalità” spiccata (con una coda di sottile granulazione nerastra), mentre al coevo risulta essere un banale rubino pirrolo.
Tra le tre palette presenti è l’unica che mi scopro a riutilizzare con una discreta frequenza (e gioia).
Pro: molto piacevoli da utilizzare. Anche le novelle versioni si attivano all’immediato, mentre le vecchie risultavano addirittura sorprendenti: arzille da subito persino dopo 40 anni di inattività, Viridian incluso.
Li consiglio ai novizi, sia per il costo ridotto rispetto ad altre linee professionali che per la qualità superiore rispetto alle linee studio (Cotman inclusi).
Nella gamma rinnovata sono incluse molte colorazioni monopigmento, e l’azienda ha finalmente limitato la brutale politica pro-riempitivi adottata in passato.
Contro: La formulazione in tubo è differente da quella in godet: si crepa spesso una volta asciutta e non è altrettanto lesta a riattivarsi (ed è un peccato, dato l’economico formato da ben 24ml);
soltanto 70 Colori in gamma, canonici ed un po’ noiosetti (una trentina dei quali opachi o semiopachi).
Suggerisco vivamente cercare swatches online prima dell’acquisto.
MaimeriBlu, palette da 36 semi godet:
Ricordando di averli provati in gioventù con singolare entusiasmo e, attirata dalla (rinnovata?) gamma ormai composta esclusivamente da monopigmento (e perlopiù motivata da uno sconto allettante), li ho acquistati tutti insieme in un momento di incomprensibile follia.
Non sprecherò troppe parole introduttive, caracollando direttamente ai contro.
Contro: prima dello scontro con Roman Szmal sono stati gli acquerelli professionali con la peggiore esperienza d’uso mai avuta. Nutro difatto certezza che la loro composizione sia terminalmente mutata rispetto a quelli testati alla fine degli anni '80.
Malgrado l’innegabile qualità dei pigmenti e l’indiscussa bellezza di diverse colorazioni (talvolta incantevoli anche in stesura), i leganti dai quali sono composti potrebbero condurre a sviluppare attitudini da osteria: improperi reiterati rivolti a Santi, animali domestici e persino contro oggetti inanimati.
La loro consistenza è quasi filante e molteplici colorazioni, specie in purezza, presentano in stesura una sorta di crema superficiale (incoercibile a qualsiasi diluizione) che in asciugatura si tramuta in un amalgama disomogeneo sporchetto e lucidino;
a parte alcune eccezioni si miscelano malamente con altre marche e (sorpresona!) spesso non vanno d’accordo neanche tra loro stessi.
Pro: L’azienda ha fortunatamente dismesso la linea studio “Venezia”, che ha generato traumi a grandi e piccini: nell’evenienza abbiate nemici con velleità artistiche sappiateli ancora reperibili online.
Roman Szmal, palette da 19 godet:
Ne ho acquistata una selezione contenuta, attirata dalle molteplici recensioni e dalla guarnita gamma (140 referenze) di colorazioni integranti alchemie fuori dall’ordinario.
Pro: costi contenuti, ed interessanti set precomposti.
Contro: i leganti. I pennelli fanno attrito sui godet e, malgrado la loro composizione a base di gomma arabica e miele, non si riattivano facilmente - o meglio: al primo uso si svegliano pressoché all’immediato, ma basta abbandonarli per qualche tempo affinché tale caratteristica risulti estinta.
Diversi colori sono addirittura mutati in composizione (diventando quasi impermeabili e “squamati”), tanto da costringermi a sfrugugnarli con uno stuzzicadenti per riattivarli;
quasi tutti quelli in mio possesso connaturano un notevole drying shift ed una spiccata perdita di brillantezza (i perilene e quinacridone in particolare);
la loro consistenza molliccia ed appiccicosa rende infernale lo spacchettamento iniziale (al loro confronto persino i MaimeriBlu sembrano semiasciutti).
Un vero peccato, perché alcune colorazioni, come Mineral Violet e Przybysz’s Grey (un incantevole clone del famosissimo Moonglow di Daniel Smith), sono singolarmente belle.
Non abbandonatemi al soliloquio: siate prodi e condividete i vostri amati!